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Cormòns (Italia)

15 nov. 2012
Jazz & Wine of Peace, 25-28 ottobre
Cormòns (Italia)


Cittadina situata nel Collio friulano, terra di grandi vini a pochi chilometri dalla Slovenia, Cormòns ospita da quindici anni la rassegna Jazz & Wine grazie agli sforzi dell’associazione Controtempo. L’edizione 2012 ha rinsaldato il già forte legame col territorio proponendo – oltre ai concerti serali al Teatro Comunale - eventi mattutini e pomeridiani distribuiti in varie località: le prestigiose cantine di Borgo San Daniele, Gradisca d’Isonzo, Angoris, Villanova e Zegla (con degustazioni di vini e prodotti tipici) e la Kulturni Dom di Nova Gorica (Slovenia). Costante e massiccia la partecipazione del pubblico, rinforzato da numerosi spettatori austriaci e sloveni, e aperto anche a proposte di non facile fruibilità.
È il caso del dialogo tra Tobias Delius e Christian Lillinger, giocato su complicità ritmica, esplorazione timbrica e totale empatia nel processo improvvisativo. Delius applica la libertà espressiva della free music europea ad un tenorismo collocabile sulla scia Shepp-Ayler-Sanders, con radici che però risalgono fino a Coleman Hawkins. Al clarinetto si riallaccia addirittura a Johnny Dodds e Pee Wee Russell. Lillinger riassume idealmente la lezione di Milford Graves, Andrew Cyrille, Paul Lovens e Paul Lytton, traendo dalla batteria una vasta gamma di colori con l’ausilio di vari oggetti.
La dialettica tra Satoko Fujii (p) e Natsuki Tamura (tp) sgorga quasi dal nulla col progressivo, lento accumulo di cellule. Snaturando spesso gli strumenti, i due alternano suoni parassiti, puntillismi, sovracuti, clusters, frammenti melodici di stampo orientale, preparazioni pianistiche vicine alla ricerca elettroacustica, echi impressionistici e tracce modali.
Il perfetto equilibrio formale tra scrittura e improvvisazione del trio di Henri Texier è animato dal flusso prodotto dal contrabbassista – in simbiosi con Christophe Marguet (dm) - con pedali potenti, linee fluide e interattive, concisi inserti melodici. Ai clarinetti (in Sib e alto) il figlio Sébastien segue le tracce sia di Michel Portal e Louis Sclavis che di Jimmy Giuffre. Al contralto spazia da progressioni limpide memori di Konitz a segmenti asimmetrici di stampo colemaniano. Le composizioni di entrambi brillano per senso strutturale e gusto narrativo, tangibili anche in un’arguta parafrasi di «What Is This Thing Called Love».
Il polistrumentista austriaco Karlheinz Miklin – con Ewald Oberleitner (b) e il figlio Karlheinz Jr. (dm) – domina vari linguaggi. Al tenore si dimostra erede di Rollins e Coltrane per gli attacchi brucianti e la configurazione del fraseggio. Coltraniano è anche l’approccio al soprano, utilizzato su percorsi modali. L’alto oscilla fra la pronuncia tornita di «Witchcraft» e accenti alla Cannonball su un infuocato calypso. Il clarinetto basso e il flauto riecheggiano temi popolari, tra Mitteleuropa e Patagonia.

Con Brad Jones (b) e Matt Wilson (dm), Ray Anderson e Marty Ehrlich costruiscono sofisticate architetture con gusto contrappuntistico e polifonico. Il trombonista vi riversa il retaggio della natìa Chicago: sentori di jazz tradizionale, il blues e la passata esperienza con Braxton. Il contraltista si è appropriato della lezione del maestro Julius Hemphill e al clarinetto si esprime con eloquio nitido e tagliente. La ritmica può spaziare da tempi liberi a slow blues, da up tempo di derivazione bop alla rhumba.
Il quintetto di Gaetano Liguori – Filippo Vignato (tb), Piero Bittolo Bon (as), Roberto Del Piano (b), Massimo Pintori (dm) – costituisce la riedizione di una formazione della fine degli anni ’70 con gli scomparsi Danilo Terenzi e Massimo Urbani. Il pianista vi ripropone i tratti essenziali del suo linguaggio: impianti modali, lunghi pedali, richiami terzomondisti, puntate free grazie al fraseggio di matrice dolphiana (con punte corrosive alla Marshall Allen) di Bittolo Bon.
Concluso dal progetto The Duke di Joe Jackson, il festival ha offerto anche momenti di intrattenimento, pur tra alti e bassi. Il chitarrista ucraino (di etnia tartara) Enver Izmaylov, specialista di tapping, tratta con genuina giocosità i tempi dispari di tradizionali della Crimea e dell’Uzbekistan, al pari dei Beatles, del raga o del fingerstyle. Con una formazione rabberciata – Luca Aquino (tp), Petter Wettre (ts, ss) e Michael Gorman (org, p) - Manu Katché ha propinato una musica piatta, banale e senz’anima. Il quintetto Soulgrass di Bill Evans fonde in un’intelligente miscela molti elementi della popular music: r&b in stile Tower of Power e David Sanborn; soul e rimandi a Little Feat e Allman Brothers nella vocalità di Josh Dion (dm); rock blues nella chitarra di Mitch Stein; il funk espresso dal possente basso di Frank Gravis; il bluegrass condensato nell’approccio del formidabile banjoista Ryan Cavanaugh, influenzato sia da Bela Fleck che da John McLaughlin. Salute, Jazz&Wine!
Enzo Boddi
Photo : Ray Anderson, Luca d'Agostino © Phocus Agency 2012, by courtesy of Jazz & Wine