Fano, Italia
Fano by the Sea, 27-29 lugio 2017
Giunta
al venticinquesimo anno, la manifestazione diretta da Adriano Pedini si è
ulteriormente consolidata grazie a una precisa suddivisione tematica e
all’acquisizione di uno spazio prestigioso quale l’imponente Rocca
Malatestiana. Lì si sono infatti svolti la maggior parte dei concerti: sia
quelli in prima serata, che hanno visto protagonisti i musicisti di maggior
richiamo, sia quelli successivi, inseriti nella rassegna Young Stage riservata a musicisti emergenti. Nella
suggestiva ambientazione della Pinacoteca di San Domenico si sono tenuti invece
i concerti per solo performance del ciclo Echi
della migrazione, ideato l’anno scorso per fornire spunti di riflessione
sul dramma degli esodi di massa. Le tre giornate conclusive hanno offerto
un’ampia varietà di proposte e contenuti.
Piano alla Rocca. I concerti serali erano
incentrati sui diversi aspetti del pianismo attuale. Tigran Hamasyan sembra
nettamente orientato verso il superamento delle barriere stilistiche, ma al
tempo stesso la sua poetica sembra nascondere qualche problema di identità.
Quando il pianista mette la formidabile tecnica al servizio di strutture che
coniugano il suo background armeno con l’impronta jazzistica attraverso il
modalismo e l’improvvisazione, sfrutta al meglio il tocco nitido, la capacità
di sintesi e il controllo delle dinamiche. Limiti evidenti emergono invece
dalle lunghe ed estenuanti sequenze di vocalizzi in chiave pseudo-etnica,
accompagnate o seguite da un pianismo ora minimalista, ora classicheggiante
sulla scia del Keith Jarrett più dispersivo. La
crescita artistica di Giovanni Guidi si riflette sia nell’approccio allo
strumento che nella visione compositiva. Nel piano solo condensa valenze
melodiche, progressioni armoniche tonali e un afflato corale che può ricordare
Chris McGregor e Dollar Brand. Questi equilibri vengono poi rotti ad arte da
cupe figurazioni sul registro grave e saliscendi sulla tastiera che richiamano
la poetica di Cecil Taylor. Guidi
esprime poi al meglio questo potenziale con il quartetto Ida Lupino (dal titolo
del Cd eponimo per la ECM), in cui è affiancato da Gianluca Petrella (tb),
Louis Sclavis (bcl) e João Lobo (dm). Oltreché sulle notevoli individualità, il
quartetto basa la propria forza sugli insiemi misurati, sulle equilibrate
combinazioni timbriche e sui possenti collettivi anche quando sconfina in
territori informali. Lobo può spaziare con disinvoltura da raffinati giochi di
sfumature timbriche a fluidi up tempo,
da figure disarticolate a solide scansioni. L’interazione tra Petrella e
Sclavis si rivela determinante per i contrasti timbrici, l’abilità nel contrappunto
(ad esempio in «Ida Lupino» di Carla Bley), la padronanza dei registri e delle
dinamiche nei crescendo e nei fortissimo. Chano
Dominguez è fautore di una sintesi tra jazz, flamenco e altre culture latine.
Tuttavia, la sua esibizione a Fano ha messo nettamente in secondo piano la
componente latin a favore di quella
afroamericana, attraverso impianti modali ed efficaci arrangiamenti di pagine
storiche. Non a caso, Dominguez ha attinto a piene mani a Kind of Blue di Miles Davis. Prima, applicando una figura sul
registro grave, doppiata dal contrabbasso di Martín Leiton, alle cellule di «Freddie
Freeloader». Poi, frammentando il tema di «Blue In Green» e inserendovi delle
ornamentazioni. Infine, calando la struttura di «All Blues» in una cornice
ritmica soul jazz con sfumature funky, grazie al contributo di David Xigu (dm).
Che poi Dominguez sia un abile reinventore, lo dimostra anche «Evidence» di
Thelonious Monk, provvista di inedite tinte melodiche.
Giovani talenti crescono. Da alcuni anni Young Stage si prefigge di mettere in luce nuovi talenti, con particolare
attenzione agli italiani. Rapidamente affermatosi sulla scena nazionale, il
trombonista Filippo Vignato esibisce uno stile maturo quanto ad articolazione
del fraseggio, potenza sonora e spettro dinamico, tale da stimolare
giustificate associazioni con Julian Priester, Roswell Rudd e Albert
Mangelsdorff. Nel suo trio, a tutti gli effetti una formazione paritaria,
figurano il pianista francese Yannick Lestra -che tratta il Fender Rhodes
sulla scia della lezione di Zawinul e Hancock– e il batterista ungherese. Attila
Gyárfás, che nel continuo flusso ritmico introduce colori, scomposizioni e
fratture. L’alto grado di interplay
favorisce lunghe sequenze con sezioni su tempo libero, in cui si individuano lo
spirito di Ornette ma anche, e soprattutto, allusioni alla svolta elettrica di
Davis da Bitches Brew in poi. Il
trio Pericopes innesta elementi post rock
in un impianto ritmico-armonico che –fatte le debite proporzioni– si colloca
in un’area non distante da quella frequentata da formazioni come Bad Plus,
E.S.T. o Tingvall Trio, come del resto dimostra l’approccio del batterista Nick
Wight. Affidata alle sortite di Alessandro Sgobbio (p) e soprattutto alle
progressioni graffianti –con escursioni sui sovracuti– di Emiliano Vernizzi
(ts), l’improvvisazione scaturisce spesso da scarni nuclei tematici o semplici
cellule melodiche. L’ibridazione
stilistica contraddistingue anche il quintetto guidato dalla pianista Maria
Chiara Argirò, da alcuni anni residente a Londra. Prevalgono gli insiemi
originati da iterazioni (di figure melodiche o nuclei ritmici) di sapore
vagamente minimalista. Lenti e ossessivi crescendo si alternano a opportuni
cambi metrici. Del tutto funzionale alle finalità espressive, il quintetto
comprende Tal Janes (g), Alex Hitchcock (ts), Andrea Di Biase (b) e Gaspar Sena
(dm).
Musica migrante. La Pinacoteca di San
Domenico è una chiesa sconsacrata del centro storico. Echi della migrazione propone il confronto del singolo musicista –paragonabile a un lungo viaggio alla ricerca di una meta– con gli spazi e i
volumi architettonici, con il silenzio, col proprio strumento e, in definitiva,
con se stesso. Paolo
Angeli è uno specialista di chitarra sarda preparata, strumento composto da una
grande cassa armonica e da diciotto corde. Oltre alle sei convenzionali, otto sono
fissate su una cordiera trasversale. Le altre quattro sono corde di violoncello
(suonate infatti con l’archetto) sorrette da un ponte posto in fondo alla cassa
armonica. Allo strumento è applicato un puntale simile a quello di un
contrabbasso. Angeli utilizza due pedaliere: una, sistemata sulla destra, gli permette
di azionare dei martelletti che attivano i bassi; l’altra, a sinistra, di
eseguire la parte melodica sdoppiando il suono acustico e quello elettrificato.
Infine, Angeli può modificare il suono e creare dei bordoni tramite delle
eliche inserite sul bordo della cassa. Lo spettro di fonti e ispirazioni è
amplissimo: da una sperimentazione affine a quella di Fred Frith, Elliott Sharp
e David Torn a intarsi di assoluta purezza timbrica degni di Ralph Towner;
dalla tradizione vocale della Sardegna alla musica araba del Nordafrica. Una
sintesi compiuta e un approccio totalmente aperto all’improvvisazione. Il
trombettista Giovanni Falzone ha presentato il suo più recente lavoro, Migrante. Falzone realizza un mosaico
sonoro basato sulla stratificazione di campionamenti (effettuati in tempo
reale) di piccole percussioni, oggetti, campanellini, flauto dolce e voce. Con
la tromba vi sovrappone gradualmente cellule dilatate dal delay, spezzoni di melodie, fraseggi dalle ampie curve e improvvise
impennate con una cura meticolosa, quasi maniacale, del suono. Quel che più
conta, scongiura il rischio di cadere nello pseudo-etnico di certa world music. Batterista
predisposto alla scomposizione, alla disarticolazione e alla ricerca di timbri
e colori, Roberto Dani si è presentato in veste di percussionista in una
performance che privilegiava tanto il rapporto con lo spazio, i riverberi e il
silenzio, quanto la gestualità. Dani opera per lento accumulo di cellule concepite
come vere e proprie unità timbriche, alternando fasi statiche, sospese a
improvvise esplosioni sonore. Da un lato evoca il contributo di maestri come
Pierre Favre e Paul Lytton; dall’altro, procedimenti di marca contemporanea
riscontrabili nelle opere di Iannis Xenakis. Disponendosi al centro della scena
circondato dal pubblico e muovendosi da varie angolazioni, Dani modifica -e,
in qualche caso, rovescia- il rapporto tra esecutore ed ascoltatore.
In
qualche misura, anche Fano Jazz by the
Sea si sforza di modificare i criteri di fruizione della musica attraverso
questa impostazione. È quanto ci si augura che continui a fare nel prossimo
futuro.
Enzo Boddi Foto Michele
Alberto Sereni, by courtesy of Fano Jazz by the Sea
© Jazz Hot n° 681, automne 2017
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