Iseo, Italia
Iseo Jazz, 14-16 lugio 2017
Esempio unico nella
moltitudine di festival disseminati sulla penisola, nei suoi venticinque anni
di vita Iseo Jazz ha fermamente
mantenuto l’impegno di documentare esclusivamente la scena jazzistica italiana,
privilegiando e promuovendo progetti originali con un’attenzione particolare
dedicata ai talenti emergenti grazie allo scrupoloso lavoro del musicologo
Maurizio Franco, che ne è direttore artistico. Non a caso, nella denominazione
del festival figura a buon diritto la dicitura La casa del jazz italiano. Oltre a godere della magnifica cornice
del lago di Iseo, la manifestazione si è radicata nel territorio, grazie alla
distribuzione degli eventi preliminari in varie località limitrofe della
provincia di Brescia. Il nucleo principale della programmazione ha coinciso con
le tre serate conclusive, tenutesi come d’abitudine a Iseo sul sagrato della
Pieve di Sant’Andrea e al Lido di Sassabanek. 2017, anno di anniversari: non
solo il venticinquesimo di Iseo Jazz,
ma anche il cinquantesimo dalla morte di John Coltrane e il centenario della
nascita di Thelonious Monk. Proprio a Monk erano dedicati due dei progetti
speciali del festival, che della geniale visione del compositore miravano a
valorizzare aspetti latenti o ancora inesplorati.
In trio con Giancarlo
Bianchetti (g) e Giovanni Giorgi (dm), il sassofonista Pietro Tonolo ha
sfruttato nuclei e frammenti tematici monkiani come appigli e punti di
riferimento ricorrenti di un flusso di composizione estemporanea, come
confermato pienamente da «Reflections», «Bemsha Swing» e «Misterioso». Questo
processo è impreziosito dalla gamma timbrica dell’atipico trio, arricchito
dall’apporto dell’elettronica (da cui ElectroMonk,
titolo del progetto e del Cd eponimo). Oltre a sax tenore e soprano, Tonolo
utilizza flauto basso e flutax, un
flauto traverso il cui suono viene modificato grazie all’applicazione del
bocchino di un soprano e all’uso del delay.
Giorgi amplia le possibilità ritmiche con l’ausilio di live electronics e di una pedaliera di chitarra collegata alla
batteria. Bianchetti è capace di produrre un ampio ventaglio di colori e nuances. La componente ritmica viene
esaltata dall’insolito trattamento riservato a «‘Round Midnight» e dalle
incalzanti progressioni di «Epistrophy» e «Bright Mississippi», che in alcuni
frangenti richiamano il trio Motian-Lovano-Frisell.
Vocalese Monk?
Sembra quasi una contraddizione in termini, ma è il coraggioso tentativo di
Daniela Spalletta di trasporne temi e improvvisazioni in quella chiave vocale.
Ancor più coraggioso (e rischioso!) se si considera l’assenza di strumenti
armonici. Nella dialettica con Alberto Fidone (b) e Peppe Tringali (dm),
Daniela si avventura con disinvoltura sulle linee asimmetriche di «Monk’s Dream»
e sui prorompenti impulsi di «Straight No Chaser», dimostrando padronanza
nell’articolazione del fraseggio a dispetto di uno spettro dinamico e
coloristico ancora limitato. Monk viene inquadrato anche nell’ottica altrui:
Joe Henderson, nell’assolo di «Ask Me Now»; Wynton Marsalis, prosciugando il
respiro orchestrale di «Four in One».
Una vocalità ricca di
spessore e contenuti caratterizza la poetica di Ada Montellanico, protagonista
col proprio quintetto nel recente Abbey’s
Road di un’appassionata e profonda rilettura del repertorio di Abbey
Lincoln. La cantante mette la propria cifra espressiva al servizio del
collettivo, interagendo con Filippo Vignato (tb) e Giovanni Falzone (tp),
responsabile degli efficaci arrangiamenti. Spiccano la capacità narrativa e
l’identificazione con il testo, anche nel caso di brani come «Driva Man» e «Freedom
Day», tratti da We Insist! Freedom Now
Suite di Max Roach, storico album-manifesto che si collocava sulla scia
della lotta per i diritti civili. Il fraseggio fluido e la ricchezza di accenti
si apprezzano appieno in «Wholly Earth», densa di poliritmi di matrice
africana, e in una «First Song» di Charlie Haden enunciata con sapienti pause.
Una pregnante concisione contraddistingue gli arrangiamenti, che fanno
risaltare gli insiemi ma al tempo stesso valorizzano gli equilibri tra Matteo
Bortone (b) ed Ermanno Baron (dm), il fraseggio incisivo di Vignato, la
nitidezza cristallina delle costruzioni melodiche di Falzone.
Dal 1980 Tiziano Tononi (dm)
e Daniele Cavallanti (ts) animano Nexus, con l’obiettivo e la missione di
sviluppare da un’ottica europea le istanze proposte dalle avanguardie
afroamericane degli anni Sessanta e Settanta, tenendosi però a debita distanza
dal free storico. La loro poetica privilegia ampi impianti modali con
occasionali slittamenti atonali, potenti collettivi con polifonie e schemi di
chiamata e risposta, costruzioni poliritmiche che evidenziano a tratti una
latente matrice africana. Del resto, Tononi è in qualche misura debitore sia di
Andrew Cyrille che di Ed Blackwell, mentre l’approccio al tenore di Cavallanti
discende in buona parte da Dewey Redman. Ciò dimostra che in definitiva alla
radice della loro musica c’è anche lo spirito rivoluzionario di Ornette Coleman
e Don Cherry. Molto dinamici ed efficaci risultano poi i contrasti, la
dialettica e le combinazioni tra le altre voci strumentali: Alberto Mandarini
(tp), Francesco Chiapperini (as, bcl), Emanuele Parrini (vln), Pasquale Mirra
(vib) e Andrea Grossi (b).
Mentre i concerti tenutisi
sul sagrato della Pieve di Sant’Andrea hanno proposto questa notevole densità
di contenuti, la serata al Lido di Sassabanek ha messo a confronto due approcci
totalmente diversi al rapporto tra jazz e musica popolare.
Shardana è il progetto con
cui Zoe Pia si confronta con il retaggio della natia Sardegna. La giovane
clarinettista, che ha svolto anche attività in ambito classico, ha assemblato
un singolare quartetto formato da musicisti come lei passati attraverso
esperienze con il trombettista Marco Tamburini, scomparso prematuramente due
anni fa: Roberto De Nittis (p, kb), Glauco Benedetti (basso tuba), Sebastian
Mannutza (dm, vln). L’idea di base è interessante: partire dalla ripetitività di
certi motivi folklorici, a volte sostenuti dalle tipiche launeddas e dalla registrazione di canti tradizionali, per
sviluppare strutture polimetriche e approdare a forme di improvvisazione, che
però rimangono a volte irrisolte.
Il batterista Tullio De
Piscopo, a cui è stato consegnato il Premio Iseo, ha alle spalle una carriera
lunga e variegata. Animatore della scena italiana già negli anni Settanta, De
Piscopo vanta numerose prestigiose collaborazioni con artisti del calibro di
Wayne Shorter, Bob Berg, John Lewis, Billy Cobham, Gerry Mulligan, Astor
Piazzolla (solo per citarne alcuni). Come batterista è dotato di swing
impeccabile, drive fluido,
impressionante controllo delle dinamiche e fine musicalità. Inoltre, è capace
di far letteralmente "cantare” lo strumento, come dimostrano alcune sue
figurazioni modellate su frasi melodiche: una caratteristica che senz’altro gli
deriva dalle sue origini napoletane. A partire dagli anni Ottanta De Piscopo si
è dedicato anche alla musica commerciale, ma sempre con gusto: con il
cantante-chitarrista Pino Daniele e anche in proprio, nella duplice veste di
cantante e percussionista. Nel divertente concerto di Iseo si sono potuti
apprezzare vari aspetti di un’intelligente forma di intrattenimento: i
poliritmi di «Anticalypso», composta dal chitarrista Roland Prince per il
quintetto di Elvin Jones; il jazz rock di «Toledo», dal repertorio di Pino
Daniele; un assolo di batteria molto «cantabile»; successi commerciali degli
anni Ottanta come le contagiose «Stop Bayon» e «Andamento lento»; soul e funk a
profusione nelle versioni «napoletanizzate» di «Sex Machine» di James Brown e
«Cantaloupe Island» di Herbie Hancock. A dimostrazione del fatto che in una
moderna interpretazione del concetto di "popolare” –o popular da un punto di vista angloamericano- si possono coniugare
magistero strumentale, musicalità, creatività, intrattenimento e (perché no?)
divertimento.
Ancora una volta, dunque, Iseo Jazz ha saputo mettere sullo stesso
piano –sempre con grande attenzione alla qualità delle proprie scelte–
ricerca, innovazione e tradizione, rapporto tra attualità e storia del jazz,
senza mai trascurarne l’essenza di musica popolare.
Enzo Boddi Traduction-Adaptation Serge Baudot
© Jazz Hot n° 681, automne 2017
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