Bergamo, Italia
Bergamo Jazz, 21-23 marzo 2014
Alla XXXVI edizione, la terza ed ultima sotto la direzione artistica di Enrico Rava, Bergamo Jazz ha confermato pienamente la sua matura identità. Come di norma distribuiti tra Teatro Donizetti, Auditorium della Libertà e GAMeC, i dieci concerti hanno abbinato agli eventi di grande richiamo musica di ricerca e proposte di giovani emergenti, secondo una linea ormai consolidata.
Tra i grandi concerti al Donizetti vanno però segnalate alcune delusioni. Il quartetto di Joshua Redman non ha espresso la compattezza e l’intensità consuete. Redman ha ormai standardizzato la sua cifra in un moderno post bop dove spesso la tecnica prevale a discapito dell’anima. Si apprezzano il lavoro sul registro grave del tenore, certi tratti intimistici e l’affiatamento con Aaron Goldberg (p), Reuben Rogers (b) e Gregory Hutchinson (dm), specie sui tempi veloci. Quanto agli standards, alle esecuzioni scolastiche di «Stardust» e «Bloomdido» si contrappone una «Let It Be» fervida e viscerale che trasuda la sua essenza gospel.
Dedicato a Nino Rota, Il Bidone di Gianluca Petrella rimane un progetto incompiuto, sospeso tra fasi libere, atmosfere vagamente felliniane e citazioni dei temi originali che però non conducono a sviluppi efficaci.
Con il suo quartetto e l’ospite norvegese Mathias Eick (tp) Trilok Gurtu propone un assemblaggio male assortito di elementi jazzistici, con una superficiale impronta del Davis elettrico, e riferimenti alla tradizione classica indiana. Musica oleografica, a tratti plastificata, vuota esibizione di tecnicismi in cui si perde il magistero del percussionista.
Ben altra qualità hanno offerto Myra Melford, Dave Douglas con Tom Harrell e il duo Michel Portal-Vincent Peirani. Con il quintetto Snowy Egret la pianista spazia da passaggi atonali a collettivi di estrazione free, da temi fortemente strutturati in chiave ritmica a sprazzi melodici, fino a residui di blues e boogie. A Stomu Takeishi (elb) e Ted Poor (dm) è affidata la costruzione di possenti pedali, fitte articolazioni e tempi fluttuanti; a Liberty Ellman (g) tocca il compito di tessere trame elaborate e a Ron Miles (corn) quello di levare un canto denso di sfumature timbriche e stilistiche.
Alla ricchezza armonica e melodica dei temi di Harrell Douglas affianca la varietà di ispirazione dei propri, raggiungendo un mirabile equilibrio con la poetica del collega anche nella contrapposizione tra il fraseggio squillante della tromba e i tratti intimisti del flicorno. Un equilibrio valorizzato dall’acume armonico di Luis Perdomo (p), dalle linee pregnanti di Linda Oh (b) e dalle figurazioni cangianti di Anwar Marshall (dm).
Capaci di trasfigurare i rispettivi strumenti, Portal e Peirani hanno dato vita a un’intelligente forma di intrattenimento: corali, valse musette, echi popolari, forme ritmiche balcaniche e afrocubane si succedono in un caleidoscopio di soluzioni timbriche.
Quanto agli eventi presentati all’Auditorium della Libertà, il quintetto di Nate Wooley (tp) attinge al lascito dell’Eric Dolphy di Out to Lunch. Wooley trae elementi da Don Cherry, Lester Bowie e Bill Dixon per operare sulla timbrica, sfruttando i sovracuti e i suoni parassiti, e instaurando con Josh Sinton (bcl) una dialettica giocata su contrappunti, contrapposizioni e impasti, scandita dall’oscillante swing di Eivind Opsvik (b) e Harris Eisenstadt (dm). Approfittando dei frequenti cambi metrici e degli impianti armonici variabili, Matt Moran (vb) apre nuove prospettive con profondità di introspezione.
Il Russ Johnson-Ken Vandermark Quartet è un collettivo di compositori che riassume le tendenze dell’avanguardia di Chicago: scrupolosa analisi timbrica; libere improvvisazioni di matrice free; scansioni serrate gestite da Timothy Daisy (dm) e comprendenti anche elementi funky e rock. Fondamentale l’interazione tra Johnson (tp) e le ance di Vandermark: un clarinetto fonte di registri estremi, tra Jimmy Giuffre e Anthony Braxton; un tenore spigoloso memore di Archie Shepp e Albert Ayler; un baritono utilizzato in chiave ritmica. Il cello di Fred Lonberg-Holm costruisce potenti pedali e assume timbri chitarristici con l’ausilio della distorsione.
Tra le giovani proposte, Enrico Zanisi (p) propone un elevato grado di interplay con Joe Rehmer (b) e Alessandro Paternesi (dm). Il retroterra classico, l’uso degli arpeggi e il linguaggio armonico, insieme a una spiccata sensibilità melodica, motivano possibili paralleli con la poetica di Enrico Pieranunzi. João Lobo ha dimostrato in un set solistico come la batteria possa essere una versatile fonte di timbri inusitati, con l’ausilio di oggetti ed accessori, e la costruzione di moduli base, su cui sovrappone trame poliritmiche, riferimento ad un’Africa ancestrale. Ancora una volta, quindi, Bergamo ha riservato piacevoli sorprese negli eventi collaterali.
Enzo Boddi Foto © Gianfranco Rota
by courtesy of Bergamo Jazz Festival © Jazz Hot n° 667, primavera 2014 |
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