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Festivals 2014

Vicenza, Italia

New Conversations Vicenza Jazz
, 9-17 maggio,  2014
Sun Ra Arkestra, Vicenza Jazz, 17 maggio 2014 © Francesco Dalla Pozza by courtesy of Vicenza Jazz


Visual & Visionary Jazz. Sull’Arka di Sun Ra, tra vecchie e nuove avanguardie. Era questo il suggestivo e fin troppo audace titolo ideato dal direttore artistico Riccardo Brazzale per la XIX edizione del festival vicentino, nel tentativo di individuare fermenti innovativi derivanti dalla concezione visionaria sviluppata da Sun Ra a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta. Un tema difficile da svolgere con coerenza nell’ambito di un programma tanto ricco, come sempre suddiviso tra Teatro Olimpico, Teatro Comunale, Bar Borsa, con l’aggiunta della Villa Ghislanzoni Curti. Infatti, solo le ultime due serate hanno fornito indicazioni pertinenti.

Alla prima esecuzione in pubblico, il quartetto composto da Taylor Ho Bynum (tp, flg, corn, tb), Mary Halvorson (g), Benoît Delbecq (p) e Tomas Fujiwara (dr) ha rivelato un’essenza di vero collettivo paritario, anche a livello compositivo. In una dimensione che contempla parti scritte fortemente strutturate e sostanziose porzioni di libera improvvisazione, affiorano fugaci squarci melodici, dinamiche e timbriche di stampo cameristico, allusioni al rock indipendente attraverso sferzanti progressioni ritmiche e distorsioni chitarristiche. Halvorson e Delbecq tessono instancabili trame spigolose, costruendo con Fujiwara percorsi accidentati su cui Bynum dissemina la consapevolezza di un linguaggio che dagli albori del jazz si spinge fino alle sperimentazioni di Anthony Braxton, suo nume tutelare e maestro di Fujiwara e della stessa Halvorson.

Nel São Paulo Underground – con i brasiliani Guilherme Granado (synth, samples) e Mauricio Takara (dr, cavaquinho) – Rob Mazurek ha individuato il contesto ideale per approfondire le sue lucide intuizioni. La netta impronta di Don Cherry, certi rimandi a Miles Davis per l’adozione della sordina e di certi climi elettrici, l’eredità dell’AACM di Chicago – tratti distintivi dell’approccio del trombettista – si innestano sulle ossessive trame elaborate dai sintetizzatori analogici con corpose linee di basso e sui loops generati dai campionamenti, che si traducono ora in fasce iterative, ora in scenari cromatici cangianti, sottolineati dalle inesauribili e potenti figurazioni della batteria. L’uso funzionale dell’elettronica prefigura una sorta di trance moderna, astrazione di atavici rituali tribali. Vi si colgono tracce di un’Africa ancestrale, melodie latino-americane e quell’esplorazione pionieristica condotta da Sun Ra sulle tastiere.

L’impiego discreto ed efficace dell’elettronica gioca un ruolo non secondario anche nel piano solo di Wayne Horvitz, che interfaccia la tastiera con un laptop in modo da alterare il suono, sempre con estrema misura, come se vi stesse applicando delle preparazioni. L’analisi è comunque concentrata sul piano e sulla ridefinizione della performance solistica. Horvitz privilegia infatti un approccio asciutto, privo di ornamenti virtuosistici ma ricco di un senso dell’economia sonora che dà origine a frasi ponderate e pregnanti, in una fertile dialettica con pause e silenzi significativi. Tale introspezione richiama indirettamente il mondo di Paul Bley, ma può tingersi spesso di blues feeling, citare Sun Ra («Tapestry from an Asteroid») e approdare anche in aree di stampo contemporaneo, con echi di Stockhausen e Feldman, grazie al frequente ricorso ai piano e ai pianissimo.

Sun Ra Arkestra, Vicenza Jazz, 17 maggio 2014 ©  Francesco Dalla Pozza by courtesy of Vicenza Jazz

Sotto la guida giocosa del 90enne Marshall Allen, l’Arkestra continua a farsi portatrice del messaggio lungimirante di Sun Ra, dimostrando quanto il suo fondatore avesse attinto con acume alla tradizione delle big bands e mutuato elementi dalle orchestre di Fletcher Henderson e Duke Ellington. Alla caleidoscopica e scintillante dimensione espressiva concorrono il torrenziale swing che produce una pulsazione inarrestabile; gli scambi e i botta e risposta tra ance e ottoni, nonché la dialettica interna alle sezioni; il blues che si sostanzia nel canto allucinato di Allen (anche debitore di Johnny Hodges e Benny Carter) e Knoel Scott (as), di James Stuart (ts) e Danny Ray Thompson (bs, fl). Impressionante anche il massiccio impatto degli ottoni: Cecil Brooks (tp), Dave Davis (tb) e Vincent Chancey (frh). Sorprende poi il pianismo del giovane Farid Barron, sintesi di modale, stride e blues, una sorta di versione aggiornata di Jaki Byard. Nell’azione dell’Arkestra prevalgono comunque il senso di comunità e il carattere ludico che trovano espressioni ulteriori nei variopinti costumi, nei riff eseguiti dai musicisti itineranti (come una specie di marching band astrale), nei passi di danza e nelle stralunate filastrocche di «We Travel the Spaceways». Con un piacere di fare musica insieme che oggi è merce rara.


Enzo Boddi
Foto © Francesco Dalla Pozza by courtesy of Vicenza Jazz
© Jazz Hot n° 668, Estate 2014